Unghie a pois, berretto da scassinatrice e una borsa a tracolla con stelline in rame.

Ho 32 anni e sono nella hall di una grande società di consulenza in attesa.

Quanto non amo aspettare, ma se devo farlo per una buona ragione tutto cambia.

Le attese che non mi piacciono riguardano gli imprevisti: sono quelle attese dove non abbiamo più di tanto potere per cambiare le cose.

Mi chiamano la ragazza del piano B sia nella vita professionale che privata.

Di imprevisti ne ho dovuti fronteggiare parecchi nella vita e non mi piace arrivarci impreparata.

È per questo che cerco sempre di trovare un piano B, una soluzione che possa risolvere una situazione in modo efficiente ed efficace.

Questo non vuol dire che funzioni sempre, ma almeno, nel mio caso, è ciò che mi permette di accettare l’imprevisto come una possibile variabile che posso gestire.

Come gioca l’attesa in tutto ciò?

Ho scritto sul tema per alcuni progetti editoriali di miei clienti e mi sono fatta l’idea che si tratti di una condizione che acuisce la sensazione di incertezza legata all’ imprevisto.

Sono consapevole, tuttavia, che l’attesa riguarda la vita ed è insita in essa e lo è anche in maniera positiva.

Nell’attesa si possono fare un sacco di cose, come me che ora sto cercando di scervellarmi per trovare una soluzione ad un problema per un progetto comunicativo per un cliente.

Se poi trasformiamo la parola e la facciamo diventare un verbo, si accende di nuove sfumature, significati, prospettive.

Aspettiamo di innamorarci, di superare un esame importante, aspettiamo un bambino, aspettiamo di andare in vacanza, aspettiamo di vivere qualcosa che cambierà il nostro stato attuale per evolvere.

Ma intanto che aspettiamo, continuiamo a vivere, continuiamo a cambiare, continuiamo a esistere.

Ed è così che l’attesa si colora, prende forma, acquisisce contenuto, consistenza.

Qualche mese fa mi sono ritrovata nella condizione di dover aspettare, ho aspettato tanto qualcosa che poi non è successo, non si è realizzato e anzi ha completamente cambiato gli scenari che mi ero prefigurata.

In quel caso, però, il piano B non era contemplato.

Ed è così che ho litigato con l’attesa.
Sono diventata diffidente e ho smesso di avere fiducia in lei.

Ma nel momento in cui è accaduto, ho avuto la tentazione di averne meno anche in me.

E questo non è giusto, mai.
Perché ogni qualvolta non ho fiducia in me, sento di perdere un’occasione per creare costruire imparare.

Oggi in questa hall, forse, sto provando a fare pace con l’attesa.
Anzi sto aspettando di farci pace.

A modo mio.